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Intervista a Vincenzo Tallarico

 

Febbraio 2004. A cura della redazione di Siddhi

D. Sta per iniziare il secondo modulo del tuo Corso triennale di Psicologia Comparata qui all’Istituto L.T.K. La prima annualità, in cui hai sviluppato il tema Immagini dell’Individuazione, si è appena conclusa. Che bilancio è scaturito da tale esperienza?

R. Devo dire che è senz’altro positivo, da diversi punti di vista. Il gruppo anche se numeroso e eterogeneo ha mostrato di essere molto interessato ai contenuti proposti ed emotivamente coinvolto dalle varie dinamiche che sono andate stabilendosi durante le sessioni esperienziali. Una ulteriore prova di ciò l’ho avuta attraverso i molti contatti personali che molte persone hanno attivato con me sia durante i quattro incontri, sia successivamente, in uno stimolante dialogo via e-mail.

Per me è stata fonte di gioia rilevare un senso di unità nella diversità, gioia incrementata dal constatare che, in modo analogo, ogni partecipante si è reso conto che nessuna sofferenza è purtroppo esclusiva esperienza di un singolo, così come nessuna felicità gli è mai intrinsecamente preclusa.

 

D. Qual è la composizione tipica dei gruppi?

R. Si è evidenziato un nucleo di base costituito da persone che si sono poste l’obiettivo di impegnarsi nell’intero processo del Corso, che si snoda appunto in tre anni; ad esse di volta in volta se ne affiancano però altre, che trovano comunque utile per il loro ricerca personale approfondire anche solo alcuni temi. Tra i partecipanti sono presenti vari tipi di professionalità, età, provenienza regionale: il comune denominatore è sempre il desiderio di conoscere più a fondo se stessi, di relazionarsi in modo più equilibrato con gli altri, di condividere le esperienze relative a tutto ciò, favoriti da un ambiente tranquillo e da un’atmosfera particolarmente idonea, perché libera e protetta.

 

D. In questo secondo ciclo su La ricerca dell’eroe dentro di noi, quali saranno gli spunti più significativi a cui ti riferirai per proseguire in questo lavoro di indagine e di comprensione delle dinamiche della psiche?

R. Il modulo si ispira al processo individuativo proposto da C. G. Jung, di cui si trova un’esemplificazione nel testo di C. Pearson L’eroe dentro di noi. In cinque incontri, che vanno a configurarsi come tappe simboliche del viaggio attraverso traguardi della vita, si andranno a contattare ed attivare certe immagini archetipiche che rappresentano il giusto riconoscimento del multiforme potenziale creativo presente in noi. Allo stadio dell’Innocentel’individuo non è ancora in grado di prendere le distanze dai propri atteggiamenti egoici e narcisistici, ed è solo diventando un eroe che gradualmente svilupperà la capacità e la forza di rinunciare a ciò che lo blocca nel suo divenire. Egli allora si determina ad intraprendere il suo personale viaggio verso la scoperta delle proprie origini e del significato della propria esistenza. All’inizio, come Orfano cerca la sicurezza e teme lo sfruttamento e l’abbandono; quindi da Viandante vuole l’indipendenza ed è insofferente alle limitazioni poste dalle regole; il Guerriero lotta per avere potere, per agire sul mondo e superare inefficienza e passività; il Martiredesidera essere buono e percepisce il mondo come un campo di battaglia fra il bene e il male; il Mago mira ad essere fedele alla sua luce interiore e in assonanza con le energie dell’universo, cercando di evitare ciò che è superficiale o non autentico. Il cammino dell’eroe può essere pensato come una spirale che si espande non in altezza bensì in ampiezza, via via che diveniamo capaci di dare una maggiore varietà di risposte idonee alla vita, che di conseguenza risulta più valida e piena

 

D. Per i lettori che non ti conoscono ancora, puoi esporre qualche elemento autobiografico che ritieni essere stato decisivo per la tua formazione umana e professionale? 

R. La prima cosa a cui penso quando mi si fa una domanda del genere è sempre l’incontro, avvenuto nel 1978 qui all’Istituto di Pomaia, con Lama Thubten Yeshe, quello che subito dopo avrei identificato come il mio Maestro, il mio guru radice. Questo termine viene usato proprio per indicare che a un tal tipo di maestro si può far risalire l’inizio, la radice appunto, di quel processo di trasformazione interiore che intraprendiamo con la convinzione di una reale possibilità di affrancarci da qualsiasi abitudine non corretta (quindi da ogni causa di sofferenza) e di riuscire invece ad attivare e potenziare fino al massimo ottenimento qualsiasi qualità (quindi ogni causa di autentica felicità) che sicuramente a un certo livello è già presente in noi. Lama Yeshe si autodefiniva un antropologo tibetano; era incuriosito dal mondo occidentale, e in particolare era molto interessato agli studi della psicologia occidentale sulla mente, perciò organizzava spesso incontri con alcuni suoi esponenti di rilievo. In uno di questi ho avuto l’opportunità di venire a conoscere Dora Kalff, allieva di Jung, traendone un’ispirazione così intensa che da allora il mio campo d’interesse (ero già uno studente di psicologia) si è rivolto alla comprensione della mente secondo la tradizione buddhista e in particolare tibetana da una parte, e la psicologia occidentale dall’altra, e a una ricerca introspettiva combinata in entrambi gli ambiti.
Agli studi accademici ho affiancato l’analisi personale, mi sono formato nell’utilizzo del metodo del Gioco della Sabbia, e ho conseguito il training di specializzazione dell’Associazione Italiana di Psicologia Analitica, di cui sono membro. Contemporaneamente ho sempre più approfondito i contenuti della filosofia buddhista, e la pratica della meditazione. Posso dire che i due sentieri menzionati, l’uno occidentale l’altro orientale, hanno tracciati paralleli, con una propria specifica tipologia, ma spesso si intersecano. Comunque la mia pratica fondamentalmente è quella buddhista, ed è riferendomi ai suoi assunti di base che cerco di lavorare anche con gli altri, pur usando metodi di tipo psicoanalitico. Questo perché in effetti ogni educatore, docente e psicoterapeuta cerca sempre di offrire ai suoi discenti e pazienti ciò la cui validità ha verificato nella propria personale esperienza; naturalmente il suo linguaggio per essere compreso deve avvalersi di termini che abbiano di volta in volta una risonanza specifica per coloro a cui viene rivolto, e la forma va adattata alle esigenze di fruibilità di ognuno.