Nel Buddhismo la causa radice del dolore sta nell’errore di percepire il proprio io come permanente e autoesistente; analogamente, la psicoanalisi individua quella causa nell’aspetto narcisistico e deviante dell’io, che va perciò lasciato andare. In accordo al sentiero graduale buddhista, è estremamente utile all’inizio, a metà e alla fine, praticare la consapevolezza dell’impermanenza e della morte. Si dice che per chi non lo avesse fatto, la morte sarà estremamente dolorosa; chi lo ha fatto in media misura, morirà senza rimpianti; e per chi ha avuto la piena realizzazione di quella pratica, la morte sarà simile a un ritorno a casa.
Il poeta e terapeuta contemporaneo Stephen Levine in un suo testo suggerisce di fissare una data precisa supposta per la propria morte. Immaginiamo allora di aver ricevuto una prognosi di un solo anno ancora da vivere, e impostiamo un programma di vita come se quella data fosse effettiva. E questa sarà la specificità del Corso: lavoreremo sull’idea e sulle emozioni che sorgono pensando alla nostra propria morte, e su come decidiamo di vivere il tempo prezioso che ci resta.
Proveremo quindi a contattare e attivare il nucleo essenziale di consapevolezza che comunque possediamo, attraverso efficaci pratiche di meditazione in accordo al sentiero buddhista ma utili e valide per tutti, per confrontarci – nella specificità della nostra cultura – con l’angoscia latente in noi rispetto alla nostra propria morte.
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